sabato 30 luglio 2016

Jof Di Montasio, 4 anni dopo via Findenegg

Sabato 30 luglio 2016. Manco da 4 lunghi anni dalla cima del Montasio; decido pertanto che il primo giorno ufficiale di ferie devo metterci una pezza e interrompere questa ingiustificata assenza. Non trovo compagni disposti ad aggiungersi all'impresa per cui affronterò la salita in solitaria. Confesso che non mi dispiace la cosa, quando salgo da solo sono molto più attento ai dettagli, vedo cose e sfumature che spesso in compagnia mi perdo. Alle 8:15 al parcheggio dei piani del Montasio c'è già la folla. Fortunatamente salendo alla forca Disteis realizzo che sarò l'unico a salire sul Re delle Giulie dall'amato canalone Findenegg, la vera via normale di salita. Del resto la via sud della Pipan, con i suoi 60 metri di artificiosa scala verticale, non può essere certamente considerata una via normale. In beata solitudine dunque proseguo verso la Grande Cengia, mi faranno compagnia in questo tratto i numerosi stambecchi che si alterneranno vicino a me almeno fino al bivacco Suringar, il nido delle aquile. Mi perdo un po' con loro, li fotografo in varie posizioni e loro sembrano gradire. Una sosta al bivacco per cambiare la maglietta e riparto di slancio verso la cima. La prima parte del canalone è semplice e non si supera mai il primo grado. Solo alla fine, due strozzature richiedono un maggior utilizzo delle braccia e danno a questa via la classificazione di II grado. Gli ultimi metri prima dell'uscita avverto un po' di stanchezza, i muscoli delle gambe non sono quelli degli anni passati complice un intervento al menisco e cartilagine di fine aprile. Esco in cresta, LA CRESTA per eccellenza, per godermi gli ultimi 5 minuti di cielo aperto, da lì a poco un nuvolone avvolgerà la cima e non se ne andrà più. Mi viene anche tolta la visuale sulla Torre Nord, ci tenevo molto oggi. So che è lì sotto poco distante in linea d'aria ma non riesco a vederla, le nuvole la celano completamente. Arrivo in vetta, dall'altro versante sono arrivate in cima solo 4 persone che stanno mangiando i loro panini, qualcuno anche si sta bevendo la meritata birretta. Decido di aspettare un po' tuttavia passa un'ora e il cielo è sempre più coperto, siamo a fine luglio ma il freddo alle mani mi fa capire che i gradi sopra allo zero sono meno di una manciata. Arrivano anche gli ultimi ritardatari, decido che è ora di ripartire e scendere. A casa mi aspettano come sempre un po' in ansia, li capisco e sono sempre dispiaciuto per questo. Sarei in ansia anche io se sapessi che i miei cari sono in montagna da soli... Ma non lo so come spiegarlo che di me possono fidarsi... :)
Scendo, incontro alcune persone che stanno rientrando perché non se la sentono di salire con quel tempo. Comprensibile. C'è da dire che la loro forma fisica e la loro agilità nell'arrampicarsi dovrebbe piuttosto fargli capire che forse per il Montasio non sono pronti, che dovrebbero fare un po' di gavetta e gamba prima sulle cime più semplici. Ma al giorno d'oggi è così, la gente non ama perdere tempo con le cime minori, tutti vogliono subito il Montasio, Coglians, Jof Fuart, Mangart senza perdere tanto tempo. Ad un certo punto uno di questi signori alle prese con la ritirata, quando oramai fuori dagli strapiombi mi tolgo il casco, mi redarguisce "Giovanotto (avrà avuto la mia età), bei capelli riccioli ma il casco si dovrebbe tenere su!". Gli rispondo che siamo oramai fuori dal pericolo di caduta sassi per cui è superfluo ma lui replica di nuovo "Il casco serve anche in caso di scivolata, protegge la nuca" Mah... Non è mica un casco integrale! Si può sempre scivolare per cui, secondo lui, il casco si dovrebbe tenerlo sempre su. A questo punto lui ritratta un po' e iniziamo a parlare di altre cose per alcuni minuti... Arrivati al ghiaione terminale saluto e scendo velocemente verso l'auto sebbene la fatica alla fine si fa sentire bene. Arrivo all'auto con temperature prossime ai 25 gradi e un sole quasi insopportabile. E il Montasio è ancora sotto il suo grigio cappello....



1400 metri di dislivello complessivo, 3:00-3:30 per la salita, 1:30-2:00 per la discesa. Imbrago da utilizzarsi secondo coscienza eventualmente sulla scala Pipan e nei brevi tratti attrezzati a monte e a valle della stessa. Canalone Findenegg da farsi solo in salita, in discesa diventa difficoltoso individuare i segnavia fatti più per essere visti da chi sale. Cresta ovest molto esposta su ambo i lati richiede passo fermo e assenza di vertigini.



Link al percorso gpx visualizzato su mappa


Dai pressi di forca Disteis


Stambecchi per nulla intimoriti posano per l'obiettivo




Lungo la Grande Cengia




Sopra il bivacco Suringar


Nuvole si apprestano a coprire la cresta ovest appena percorsa


L'adrenalinica cresta da percorrere all'uscita dal canalone
Stambecchi perfino in cima!
10 minuti dopo... le nebbia si impossessano della cima

lunedì 18 luglio 2016

Anello del monte Avanza

18 Luglio 2016. La prima salita su questa montagna risale all'autunno di 3 anni fa. Quella volta tuttavia il meteo fu pessimo negandoci ogni visuale. Salimmo, io e la mia compagna di avventure e di vita, immersi nelle nebbie e in cima sostammo per solo pochi minuti a causa del vento gelido. Questo weekend di luglio le previsioni sono ottime, decidiamo quindi di buon mattino di partire alla volta di Sappada, destinazione sorgenti del Piave. Parcheggiamo la macchina sulla sterrata che si stacca sulla destra circa 200 metri prima del parcheggio ufficiale di salita per il Calvi. Proseguiamo pochi minuti per la sterrata, poco prima del passo Avanza saliamo diretti per i prati ad incrociare il sentiero cai 173 che passa poco sopra di noi e che aggirando le pareti della Creta di Casera Vecchia ci porti a sud dei campanili delle Genziane. Qui troviamo il non segnalato bivio per il canalone sud, già fatto a suo tempo. Un muretto di sassi indica a sinistra la prosecuzione del sentiero normale. Noi decidiamo di ripetere il percorso ad anello e ci addentriamo quindi nel canalone sud ovest proseguendo per una traccia a destra oltre il muretto di sassi. Incrociamo a metà percorso un atletico signore che sta scendendo per questo percorso, mi viene da pensare che sia uno che sa il fatto suo per fare in discesa il canale. Inoltre il signore è stato estremamente silenzioso nell'avvicinarsi a noi. Col tempo ho capito che il livello di rumore generato dall'escursionista è inversamente proporzionale alla sua esperienza e al suo rispetto per la montagna. Proseguiamo, più saliamo e più il canalone si restringe, penso che forse sarebbe stato meglio portarsi il casco vista la verticalità delle pareti sopra di noi. Cerchiamo di essere celeri ed attenti . Arriviamo alla strozzatura finale, passaggio chiave della salita, agevolata da un pezzo di cavo di ferro penzolante, non molto attraente ma non è stato disdegnato come aiuto. Senza il cavo il passaggio sarebbe a mio avviso un terzo grado. Sopra le strozzature si risale sulla sinistra un pendio ghiaioso che richiede comunque attenzione. Arrivati al villaggio militare ci immettiamo nella via normale che arriva da sinistra e saliamo per roccette in mezzo a tantissimi resti di trincee e testimonianze della grande guerra. Qui gli alpini non venivano ad ammirare il paesaggio, qui ci passavano le stagioni e ci morivano. E' davvero folle pensare di presidiare queste cime. Già d'estate passare una sola notte quassù è difficilmente realizzabile, figuriamoci a quei tempi, in autunno e in inverno con la neve. Superiamo le trincee e finalmente arriviamo nei pressi della cima, una piccola croce  indica la nostra meta odierna. La vista questa volta è davvero superba in particolare sui vicini gruppi del Peralba-Chiadenis, Coglians-Volaia e tutte le Pesarine, dalla Creta Forata al Siera. Più dietro si distinguono bene il gruppo del Clap e la Terza Grande  mentre ancora più lontano ad ovest svettano l'Antelao, parte del Pelmo, Sorapiss e Tofane. Pranziamo con un po' di frutta fresca e qualche barretta di cioccolato. Scendiamo per la via normale, superiamo il tratto più esposto dell'attraversamento e poi scendiamo velocemente per ghiaie, questa volta passando a nord delle torri delle Genziane, fino al bivio col sentiero CAI173 che seguiamo a sinistra in discesa - a destra in salita si arriva al passo dei Cacciatori, alternativa valida per chi volesse passare per il rifugio Calvi - andando a chiudere l'anello iniziato in mattinata svoltando a destra verso il canalone sud-ovest. Ancora 30 minuti e siamo all'auto. Tolti gli scarponi scendiamo a Sappada dove un vivace centro ci invita parcheggiare l'auto e a passeggiare sulla via principale. Sosta obbligata al bar per birra e tost con speck e brie per chiudere la giornata in bellezza.

Dislivello totale in salita 900 m, tempo di salita 2-2:30, discesa 1-1:30 escluse soste.Via normale adatta a tutti per le difficoltà tecniche contenute. Tuttavia alcuni passaggi esposti su terreno instabile richiedono un po' di esperienza.
 Canalone sud-ovest invece per escursionisti esperti, un tratto di II e uno di II superiore o III agevolato da cavo volante. Utile il casco negli ultimi 50 metri di canalone.

Visualizzazione tracciato gpx 




















lunedì 4 luglio 2016

Traversata del Picco di Mezzodì da Ortigara

Si dice che il Picco di Mezzodi sia l'ultima montagna salita dal poeta e alpinista Julius Kugy. L'idea di percorrere questo anello è piuttosto datata ma per motivi diversi i due tentativi precedenti non erano andati a buon fine. La prima volta tentai questo anello assieme a Desy nel 2014. Arrivati però all'Alpe Moritsch dovemmo rinunciare a risalire il canalone che porta a forcella Ratece a causa del grande nevaio che rimane solitamente fino in luglio. Riprovai in solitaria l'anno successivo ma un problema all'auto mi impedì direttamente di arrivare a Ortigara costringendomi a fare retro-front e portare l'auto dal meccanico. Il 4 luglio 2016 parto deciso, le previsioni dicono che sarà una giornata ottima. All'arrivo a Ortigara superiore però mi rendo subito conto che la giornata sarà più grigia di quanto pensassi. Parto e seguo il rio della magica Val Romana, scarto il bivio per la Capanna 5 punte e punto diritto verso la conca sospesa dell'Alpe Moritsch. Le brine mattutine e la completa assenza di sole hanno reso la rigogliosa vegetazione di questo tratto completamente bagnata. Pur cercando di salire schivando rami e frasche non riesco ad evitare di inzupparmi completamente maglietta e soprattutto i pantaloni. Non fosse che l'acqua dai pantaloni poi scende sulle gambe fino ad arrivare ai calzini e agli scarponi la cosa non sarebbe un problema grave. Fatto sta che quanto arrivo all'Alpe Moritsch ho gli scarponi letteralmente inzuppati d'acqua, posso togliermeli e svuotarli dall'acqua a mo' di secchiello. Balena per un attimo il pensiero che anche oggi le cose potrebbero terminare con una ritirata... Entro nella zona grigia di nubi vaporose che diventano via via più fitte mano a mano che mi avvicino a forcella Ratece. Fortunatamente il famoso nevaio quest'anno è ben poca cosa e mi permette di risalire il delicato canalone - due movimenti un po' delicati su rocce bagnate attorno al II grado inferiore. Superata la forcella le difficoltà risultano più contenute e anche l'aria circostante assume un tono meno grigio. E' segno che poco sopra di me c'è il sole che sta provando a farsi spazio. Mi fermo sul sentiero qualche minuto per bere e mangiare qualche cosa a veloce rilascio energetico. Riparto dopo 20 minuti per la cima che raggiungo in circa mezz'ora. E' circa l'una, ci ho impiegato circa 3 ore e 30 a salire. Non male come tempo considerando le difficoltà. Sulla cima il sole è più vicino, ci sono dei momenti in cui il cielo sopra di me è completamente sgombro di nuvole, sebbene il panorama verso il Mangart e le Ponze completamente oscurato da altri nuvoloni. Non si sta male, decido di fermarmi qui, togliere scarponi e calzini e aspettare finché non riuscirò a vedere il Mangart. E' solo questione di tempo, so benissimo che in queste giornate alle 17 il cielo si ripulisce completamente di queste nuvole vaporose. Attendo la bellezza di tre ore, facendo qualche foto e cercando di asciugare quanto più possibile gli scarponi. Togliendo i calzettoni infatti arriverò a casa con una leggera scottatura ai piedi... Mi sono dimenticato di spalmarci su un po' di crema solare! Alle 16 circa le ultime nuvole si squagliano come neve al sole ed eccolo lì finalmente, davanti a me.. Il Mangart! Mi sembra addirittura di riuscire a vedere degli escursionisti sulla cima tanto è tersa l'aria.... Faccio le ultime foto poi decido di iniziare la discesa che si presenta piuttosto lunga. Scenderò infatti sul versante dei laghi fino a sella Colrotondo lungo la via normale, poi per sentiero e mulattiera arriverò fino a Ortigara e infine alla macchina. Dopo un'ora e mezza circa sono all'auto, durante il rientro riesco a fare ancora alcune bellissime foto, la giornata grigia pregustata in mattinata è oramai solo un ricordo (sebbene calzini e scarponi ancora pesantemente bagnati siano ancora molto reali...). 

Anello del Picco di Mezzodì da Ortigara