giovedì 25 agosto 2016

Jof Fuart - La Gola NE

La "Gola NE". Diciamo che il nome di questa via di salita al Jof Fuart infonde già di per sé un po' di timore. Assieme a Roberto, amico di vecchia data e col quale condivido questa passione per la montagna, ne avevo parlato spesso anche se nei due anni precedenti per un motivo o per l'altro l'appuntamento era sempre stato rinviato. La via ripercorre una linea storica che si fa breccia in uno dei versanti apparentemente inespugnabili della montagna. Percorsa per la prima volta dal sommo dott. Kugy con la sua compagnia oltre un secolo fa, venne utilizzata durante la prima guerra mondiale dall'esercito austro-ungarico che la attrezzò nei punti più scomodi con pioli di legno e ferro.
Torniamo a noi, al 25 agosto 2016. Le ferie per me sono terminate e già da diversi giorni sono tornato agli usuali ritmi lavorativi. Da lunedì le giornate sono a dir poco stupende, la fine di agosto sembra essere caratterizzata da un clima perfetto: caldo di giorno e fresco la notte, senza una nuvola in cielo e con un'aria particolarmente tersa. Lunedì sera mi arriva il messaggio di Roberto, giovedì vorrebbe tentare "la gola". Il giorno seguente chiedo al lavoro se posso assentarmi giovedì e la risposta è positiva. Ottimo! Provo ad informarmi sulla percorribilità dei tratti più delicati. Nevai sulla parte alta sono già sicuro che non ce ne siano; ho dei dubbi sull'attacco e sull'eventuale seracco tra il ghiacciaio e il Piccolo Jof dove inizia ufficialmente la via. Anche sulla via di rientro ho diversi dubbi, la forcella di Riofreddo che vidi anni prima percorrendo l'Anita Goitan aveva la bella scritta "NO" su un sasso; sulla via che scende per la forcellina est avevo letto da qualche parte che la percorrenza era piuttosto delicata. Provo ad informarmi nel modo più veloce e diretto, via FaceBook. Ottengo risposte un po' contrastanti. Qualcuno mi dice che il seracco non crea problemi, altre voci più recenti parlano di baratri non superabili. Sulla via di rientro vengo messo in guardia sulla friabilità e instabilità del sentiero per la forcella di Riofreddo il che mi convince ad optare per il rientro in Saisera per il Lavinal dell'Orso e il bivacco Mazzeni. Infine chiamo direttamente il rifugio e vengo tranquillizzato sia per quanto riguarda l'attacco che per quanto riguarda un rientro per la carnizza di Riofreddo. La salita della gola partendo dalla val Saisera richiede da sola 1800 metri di dislivello. Anche il rientro, con entrambe le opzioni prevede di aggiungere almeno altri 300 metri per un totale di 2100 metri. Ora, tutto è fattibile per l'amor del cielo... Però non vorrei trasformare quello che può essere un percorso fantastico in una specie di via Crucis. Convengo pertanto con gli altri partecipanti - sì perché nel frattempo ho avuto conferma che a me e Roberto si aggiungerà anche Daniele - che pernottare la sera prima al Pellarini sia l'opzione più congeniale. Martedì sera quindi preparo lo zaino con tutto il necessario: imbrago, kit, casco, 3 magliette, macchina fotografica, gps logger, pila frontale, sacco letto, biscotti, qualche barretta e due banane, sali minerali, 2 litri e mezzo d'acqua, gli immancabili bastoncini, felpa e giacca smanicata più il solito materiale che porto dietro. Mercoledì alle 17 puntuali esco dal lavoro e mi dirigo direttamente al parcheggio dell'Hotel Carnia dove alle 17:20 ho appuntamento con gli altri due per salire verso Valbruna. Arrivo 2 minuti prima degli altri così approfitto per cambiarmi i vestiti facendomi trovare pronto per la partenza. Arrivano i due compagni di ventura,non li vedo da almeno due anni ma questo tipo di amicizie non teme queste lunghe pause, tra di noi è sempre tutto come una volta, ci si parla in maniera diretta e semplice come solo tra persone che si conoscono dall'infanzia succede. Il viaggio in auto passa in fretta come pure la salita al rifugio, ci raccontiamo reciprocamente le nostre ultime esperienze, si passa da argomenti di montagna ad altri più personali, si parla di lavoro e tante altre cose. Alle 19:30 siamo in rifugio, non c'è il gestore Ennio Rizzotti ma ci stanno aspettando due ragazzi che stanno già cenando e ci comunicano che stasera siamo gli unici ospiti del rifugio. Cosa alquanti bizzarra, siamo ancora a fine agosto e, sebbene sia un mercoledì sera, mi sarei aspettato di trovare un po' di più traffico. Mettiamo via le nostre cose e scendiamo subito per la cena: ci aspettano un bel piatto di spaghetti al ragù e un frico con polenta. Mangiamo e chiudiamo la serata con un paio di grappe, chiediamo delucidazioni ai ragazzi circa la via di rientro e ci dicono che nonostante tutto il rientro per la sella di Riofreddo rimane il preferito. Decidiamo quindi che l'indomani faremo questo percorso per il rientro e, visto che Daniele e Roberto non hanno mai percorso l'Anita Goitan, faremo anche un tratto di questo per raggiungere la sella. Dopo cena usciamo a vedere il cielo stellato. Si potrebbe stare fuori ore ma il freddo ci farà rientrare dopo meno di 10 minuti. Ci laviamo i denti e ci corichiamo nei sacchi-letto. Mi addormento quasi subito salvo svegliarmi attorno all'una e trenta del mattino. Per oltre un'ora non riesco a prendere nuovamente sonno tanto che alle 3 inizio a pensare che non riuscirò più riaddormentarmi. Poco dopo tuttavia mi ricado nelle mani di Morfeo e ci rimarrò fino alle 6:30 quando la luce del mattino inizierà ad illuminare la stanza. Ci svegliamo, una rinfrescata con acqua gelida e scendiamo giù a fare colazione. Ci aspettano caffè, latte e pane con burro e marmellata. Tanto per sicurezza mi sono portato dietro anche una di quelle fialette di ricostituente a base di ginseng guaranà e pappareale. So benissimo che non è sportivamente corretto fare uso di queste cose, che il mio è un comportamento eticamente discutibile... Però l'impresa che ci aspetta giustifica anche questo tipo di doping. Ricordo che recentemente avevo sentito alla radio un giornalista che, mentre riportava la definizione ufficiale di doping, diceva più o meno queste parole "si definisce doping l'utilizzo di qualsiasi sostanza non strettamente necessaria utilizzata al preciso fine di migliorare la prestazione agonistica". Cosa poi voglia dire non si capisce bene, anche il burro e marmellata sono doping allora? Vabbeh.. Fatto sta che con la calma alle 7:50 lasciamo il rifugio e ci dirigiamo verso il nevaio di attacco lungo la salita alla forcella Nabois. Raggiungiamo l'attacco, calziamo i ramponi. Daniele non li ha portati perciò consiglio ai due di utilizzarne comunque uno a testa per avere almeno un minimo di sicurezza in più durante la progressione. Vediamo chiaramente il bollo sulla cengia del piccolo Jof di fronte a noi, attraversiamo in linea retta. Pochi metri prima della fine del nevaio si nota al centro dello stesso un po' sopra di noi un'ampia crepa che fa intuire come la situazione sotto alla neve che stiamo calpestando sia tutt'altro che stabile. Facciamo molta attenzione, una scivolata sul nevaio o una caduta in crepaccio avrebbero conseguenze molto serie. Una lingua del nevaio sembra accompagnarci perfettamente sulla cengia mentre subito sotto e subito sopra si è creato un seracco importante quanto pericoloso. Messi i piedi sulle rocce, tolti i ramponi e superato questo primo tratto che rappresentava per me un'incognita mi sento molto più tranquillo; so che il resto della via non dovrebbe richiedere di affrontare altri rischi oggettivi più alti di questo. Uno sguardo all'orologio, dal rifugio a qui ci abbiamo messo poco più di un'ora. Decidiamo di non indossare ancora l'imbrago ma di indossare solo il caschetto. Non dovremmo avere sopra di noi né stambecchi né umani ma è meglio essere prudenti con il rischio di caduta sassi. Ripartiamo, aggiriamo il Piccolo Jof ed entriamo ufficialmente nella gola, in questo canale stretto, ripido e scuro che in circa due ore ci porterà sulla cresta finale. La gola di per sé risulta essere simile sotto molti punti di vista al canalone Findenegg del Montasio. In diversi punti è più stretta, più tecnica e richiede un uso continuo e prolungato delle mani durante la progressione per almeno due ore. Le difficoltà non scendono mai, non ci sono molte tregue se non durante la breve percorrenza della Cengia degli Dei. Mi aspettavo che dopo la cengia la salita si facesse più semplice sebbene i tratti più impegnativi rimangano concentrati nella prima parte della salita. I passaggi più ostici sono tutti comunque opportunamente attrezzati in maniera da non risultare eccessivamente faticosi. Ricordo nel tratto iniziale una canalino attrezzato con gradini in legno e pioli, un successivo canalino con una strettoia dove una taglia 48 come me passa giusto giusto, un tratto con un masso incastrato dove è richiesta un po' di forza di braccia per superare l'ostacolo ed infine un tratto un po' più faticoso con roccia umida e liscia, anche qui però le attrezzature consentono un transito abbastanza agevole . Dopo la cengia invece non ricordo punti particolarmente critici, ricordo però che le mani a terra ce le ho messe con continuità finché non si arriva sulla cengia che conduce alla via normale in versante sud-est. Durante la salita, circa 15 minuti sotto la cengia, veniamo raggiunti e superati da una solitaria escursionista slovena di Caporetto che ci racconta addirittura di essere partita alle 7 dal parcheggio in val Saisera. Scambiamo due parole con lei, si unisce a noi per 5 minuti e ci racconta che anche lei scenderà per il versante di Riofreddo. Alla prima pausa per bere e fare un paio di foto tuttavia la slovena ci saluta e si congeda, dice comprensibilmente che non può fermarsi sudata. Rivedremo la signora solo all'arrivo in vetta quando lei starà cominciando a scendere... E io che pensavo di essere uno che va anche troppo veloce! Confesso che non mi era mai capitato prima di vedere una progressione con questi ritmi... Immagino cosa si possa provare incrontrando Kilian Jornet.
Tornando alla salita, il tratto più caratteristico della via ritengo sia quello  in cui Kugy racconta di come  utilizzarono la tecnica "dell'orso" per superare un tratto della gola particolarmente impegnativo; la tecnica, non alpinisticamente elegante ma sicuramente efficacie, consisteva nel creare una scala umana salendo uno sulle spalle dell'altro appoggiati alla parete. Così facendo la cordata dava vita "all'orso" e in particolare in questa  occasione la creatura si rivelò poco stabile iniziando ad oscillare a destra e a sinistra generando una grande risata comune.Il punto ora è attrezzato e risulta abbastanza agevole, immagino come a quel tempo fosse risultato tutt'altro che banale. Arriviamo sulla cima est, la più alta, a 3h30' dalla partenza. Ci spostiamo sulla tradizionale cima ovest con croce e madonnina dove ci fermiamo anche circa mezz'ora per fare foto e mangiare qualcosa in perfetta solitudine. Il panorama è stupendo, si vedono le cime più lontane sia a est, dove si riconoscono bene la Scarlatizza, il Triglav e i più vicini Mangart e Jalovec. Poi il Canin, il vicino Montasio con tutta la catena di cime che rende il gruppo quasi un unico grande blocco di roccia. Devo dire che anche da questo lato, come quello sud che si guarda ad esempio dal Canin, il Montasio non incute il timore e rispetto che incute da nord-ovest. Dal Jof Fuart non c'è alcun timore riverenziale per il Re, mentre dal Montasio il Jof Fuart un po' di impressione la desta. Penso che questo ragionamento in parte giustifichi il motivo del nome di questa montagna, la "montagna possente". In vetta veniamo raggiunti prima da un escursionista sloveno e successivamente da due austriaci; lasciamo a loro la cima e iniziamo a prepararci per la discesa che sarà meno tecnica ma decisamente impegnativa dal punto di vista fisico. Incontriamo altri due escursionisti sotto la cima, una signora e un signore. Ci salutiamo, la signora mi colpisce perché subito ci dice "Non sono sola eh".... Penso che andare in giro da soli non sia una colpa, io ci vado spesso da solo e come forse ho già detto quando sono solo sono molto più attento. Poi su cime frequentate come questa è difficile essere veramente soli. Penso anche alla Slovena che si è fatta tutta la gola in solitaria... Boh, quella effettivamente un po' esagerata lo è. Comunque scendiamo agilmente fino all'incrocio con l'Anita Goitan tutto procede tranquillamente. Incontriamo un gruppo di escursionisti romani che ci chiedono se valga la pena arrivare in vetta e se dalla vetta c'è un sentiero che porta al Pellarini. Rispondiamo ovviamente in modo positivo ad entrambe le domande ma ovviamente sconsigliamo la discesa per la gola in versante Pellarini. Gli spiego che noi stiamo appunto rientrando al Pellarini ma che la percorrenza sarà lunga e  faticosa e transiterà per una forcella ripida e con materiale instabile. Una delle 4 ragazze perde sangue dal naso, ha tamponato l'emorragia con un po' di cotone ed ha lo sguardo di chi non si sta divertendo per niente. Penso che forse dovrebbero rinunciare a scendere al Pellarini e probabilmente anche il raggiungimento della cima, considerata l'ora pomeridiana, non è tanto semplice e scontato.Ci salutiamo, scendiamo e in pochi minuti siamo già sulla cengia dell'Anita Goitan. Vestiamo gli imbraghi. Vediamo che i romani sono ancora fermi poco sopra e ci stanno seguendo con lo sguardo pensierosi sul da farsi. Li salutiamo e doppiamo uno spigolo perdendoli di vista definitivamente. Questo tratto prosegue piuttosto veloce anche se non ricordavo la ferrata così tecnica. Non so per quale motivo ma nella mia mente dell'Anita Goitan erano rimasti impressi i passaggi in piano sulle cenge e il bel panorama. Invece proprio banale non è, ci sono vari punti senza il cavo e la discesa e risalita all'intaglio prima della cima di Riofreddo è abbastanza verticale ed impegnativo. Niente di preoccupante per chi è allenato, però per l'escursionista "casuale" diciamo risulterebbe in diversi punti abbastanza ostico. Superiamo il primo bivio con la variante nord, mai percorsa ma a guardarla parrebbe una variante piuttosto impegnativa andandosi a sviluppare in parte sui baratri del versante nord. Poi si arriva alla prima forcella, quella famosa con la chiara e diretta scritta "NO". Scendiamo un po' ma senza perdere molta quota arriviamo sotto la forcellina est. Per raggiungerla superiamo un breve tratto atletico e un breve canalino verticale ma ben attrezzato. Poi scendiamo sul versante opposto e subito si capisce che ci si muove su un terreno molto instabile.  Ci si cala per alcuni minuti con attenzione cercando di seguire i radi bolli e cercando di non smuovere i massi più grossi. Con un po' di attenzione si riesce a scendere abbastanza tranquillamente. Ad un certo punto si deve cercare di tenere la sinistra dove la gola digrada in maniera più dolce e verso la fine si può anche sfruttare il ghiaino più fine per una discesa veloce e divertente sui talloni. Si raggiunge così il centro della Carnizza di Riofreddo, una vallata incastonata tra Valbruna e la Val Saisera e Cave del Predil estremamente isolata e selvaggia. Ci sono vari stambecchi che sentendoci arrivare rumorosi ci guardano perplessi. Ritroviamo i segnavia anche se il sentiero che dobbiamo percorrere era già chiaro dall'alto della forcella e si tiene nella parte finale su una cengia erbosa sulla sinistra. Con un ultimo tratto in salita raggiunge la forcella Carnizza. Qui, ormai consapevoli di essere a pochi minuti dal Pellarini, finiamo tutta l'acqua che avevamo lasciato come scorta di sicurezza. In circa 20' minuti siamo al rifugio dove troviamo i due ragazzi della sera prima e il gestore e guida alpina (e non solo.. ha un curriculum impressionante) Ennio. Con loro due signore e un ragazzino. Ci chiedono subito scherzosamente se per caso ci abbia raggiunto qualcuno durante la salita alla gola... Ci spiegano che la signora slovena ha già bevuto la sua birra da mezzo e da oltre due ore ha lasciato il rifugio... E probabilmente sta già a Caporetto! Ci facciamo una bella risata sopra, non sono nemmeno le 4 del pomeriggio e per fare il giro ci abbiamo messo 8 ore comprese le soste. Non male comunque! Ci fermiamo lì fuori all'ombra a gustarci la meritata birra mentre seguiamo la discesa di una cordata che si sta calando in ritirata dalla Cima delle Rondini. Le calate sono accompagnate da qualche bestemmia da parte soprattutto della signora che non gradisce molto evidentemente le calate in doppia... alla fine arrivano alla base comunque tutti sani e salvi. Nel frattempo è un piacere per noi ascoltare Ennio mentre prima spiega al ragazzo come avvolgere la corda "a bambolina", poi ci racconta delle sue esperienze di canyoning, dei rischi e delle particolarità di questo sport rispetto all'alpinismo. Ha una cultura e un modo di spiegare le cose veramente piacevole ed efficace! Finiamo le birre e salutiamo, è ora di dirigerci verso il parcheggio dove sappiamo già che ci aspetta una rinfrescata nelle gelide acque del torrente Saisera! Prima però facciamo un ultimo incontro, infatti poco prima del ponte incrociamo il grande Luciano De Crignis, maestro nell'arte di discesa con gli sci e autore di varie discese storiche su tutto l'arco alpino. Salutiamo l'illustre personaggio friulano e arriviamo finalmente al torrente, togliamo a fatica gli scarponi fumanti e immergiamo i piedi doloranti... E' sollievo, in questo momento non ci sarebbe gioia più grande che godere dell'acqua gelida del torrente. Sono questi i momenti che ti fanno amare di più la montagna. Chiudiamo così uno degli anelli più impegnativi, e più lungamente bramati, degli ultimi anni. Il Jof Fuart non delude, è lui la montagna più possente delle Giulie.

Dislivello dal Pellarini 1800m per 8 ore di percorrenza incluse soste. Dalla val Saisera si aggiungono 550 metri e 1h30' per la salita più 1h di discesa. Evitando l'Anita Goitan si accorcia secondo me sia il tempo che il dislivello di salita. (Se siete di Caporetto togliete 3 o 4 ore :-))





























sabato 13 agosto 2016

Nabois Grande - L'anello

Il Nabois Grande - 2313 m - è una montagna davvero speciale che per il panorama che offre è secondo me troppo poco frequentata. I motivi probabilmente sono tanti ma a incidere sono soprattutto il forte dislivello che si deve affrontare per raggiungerne la cima dalla val Saisera (oltrei 1400 metri complessivi) e il fatto che rimane una cima insindacabilmente oscurata dal Jof Fuart che la nasconde letteralmente dietro le sue maestose pareti settentrionali. E' proprio questo secondo motivo che l'ha fatta entrare tra le cime che più desideravo salire; col tempo ho scoperto che le sensazioni che si provano nell'ammirare il panorama dalle cime maggiori sono sì belle... Ma spesso non sono così belle come quelle che si provano ammirando "i giganti" dalle cime minori. Su queste cime minori, e qualche volta sebbene minori sono anche più difficili delle cime maggiori, subisco il forte fascino del sentirmi sovrastato di svariate centinaia di metri da altre cime e cucuzzoli attorno a me. Tornando al Nabois, questa cima ha una parete nord davvero impressionante, oltre 1000 metri di calcare verticale. Su questa parete nei primi del '900 la coppia Bolaffio-Otzinger aprì una ardita via per quei tempi. I lati deboli invece sono invece quello sud, dove la salita è agevolata dalla partenza in quota nei pressi di Sella Nabois, e la spalla est dove recentemente è stato sistemato il sentiero che ne rimonta la cresta partendo poco sopra il rifugio Pellarini. La seconda via è sta utilizzata come via di salita, la discesa è avvenuta per la via normale a sella Nabois.
Alle 9 sono in partenza in val Saisera, poco oltre l'abitato di Valbruna. Parto con vari pensieri, prepara i bastoncini, calibra il GPS logger, sistema lo scarpone... Al primo bivio sbaglio strada e invece di salire col sentiero più diretto al rifugio Pellarini, salgo per il sentiero che porta prima a sella Prasnig, e poi, in discesa, al Pellarini. Questo veniale errore mi costerà circa 200 m di dislivello in più a fine giornata. Ma oggi sto bene, la cosa non mi preoccupa più di tanto e proseguo su questa via.  Arrivo a sella Prasnig, in circa un'ora e un quarto, un cartello mi indica la via per il rifugio e mi dice che ci vorrà un'altra ora e un quarto. Arriverò al rifugio con qualche saliscendi alle 11 in punto mettendoci 2 ore quindi perdendo praticamente niente rispetto alle tabelle cai utilizzando il sentiero diretto. Le pause le utilizzo per bere e per fare delle prime fotografie. Al rifugio non mi, arrivo da mezz'ora di prevalente discesa per cui le gambe sono abbastanza riposate. Poco oltre il rifugio noto la nuova indicazione per il sentiero Florit Gasparini che suggerisce di lasciare il sentiero principale, diretto a sella Nabois, per intraprendere il sentiero alpinistico di recente tracciatura. Salgo bene tra balze erbose e mughi, questi ultimi che riescono sempre a scaldare l'aria circostante in maniera incredibile... Un giorno l'uomo dovrà capire come fanno i mughi a sprigionare questo calore per utilizzare in maniera propositiva il processo... che ne so, magari d'inverno si potrebbero portare i mughi nelle case della gente! Ovviamente ci scherzo su.... però!  Si supera un primo facile tratto attrezzato poi si risale ancora un po' finché il sentiero non entra in un canale friabile dove il cavo diventa davvero utile e da la sicurezza necessaria a proseguire. Ad un certo punto si incontra la traccia della via normale a sinistra, ma ci si unisce a questa solo pochi metri sotto la vetta, dove inizia il tratto attrezzato finale che ho trovato abbastanza semplice. Prima di questo il sentiero si porta ancora un paio di volte molte vicino alla cresta esposta sulla parete nord dove le correnti d'aria creano un forte rumore che mette soggezione ancora prima di guardare giù verso i baratri. Sul tratto attrezzato finale raggiungo 5 escursionisti piuttosto rumorosi, 2 in discesa e 3 che stanno per arrivare in cima poco prima di me. Finalmente arrivo in vetta, la giornata è perfetta! Finché uno dei tre ad un certo punto apre un canale di comunicazione radio con altri personaggi sconosciuti. Uno è in escursione sul monte Elmo... Si raccontano a vicenda dove si trovano, cosa stanno facendo e cosa vedono "Io sono a nord di Tarvisio (siamo a sud-ovest in realtà), ho percorso una via alpinistica sul Gran Nabois" "Io invece vedo le Tre Cime di Lavaredo e ho confine Italia-Austria a 3 metri da me".... La discussione mi sembra un po' paradossale, due che non si conoscono si raccontano via radio cosa stanno facendo... Mah, nell'era dei social perché non utilizzare ancora il buon vecchio social via radio, non c'è molta differenza. Farei anche a meno di ascoltare, ma su una cima di circa 40 metri quadri se uno parla alla radio sei purtroppo costretto a sentirlo. Gli altri due signori sembrano più cortesi, la signora mi scatta gentilmente alcune foto di vetta per ricambiare la foto che ho fatto a loro tre. Dopo 15 minuti loro decidono di scendere, io rimango su ancora 5 minuti a godermi il silenzio e a fare ancora due foto. Impressionano da qui soprattutto le enormi e alte pareti del Jof Fuart, riesco addirittura a vedere chiaramente una persona sulla cima ovest del Fuart, la cima più alta ma di solito meno affollata. Si intuisce bene il percorso della Cengia degli Dei, coma la chiamò Julius Kugy, un'aerea e lunga cengia che attorno ai 2200-2300 metri attraversa senza soluzione di continuità (quasi) tutto il gruppo del Jof Fuart, partendo praticamente dalla cima del Vallone e terminando a forcella Mosè. Questo almeno è il tratto classico, poi se si considera tutto il gruppo Montasio Jof Fuart si può pensare ad un unico percorso che unisca la cengia degli Dei alla Grande Cengia del Montasio, guarda caso anch'essa sulla medesima quota di altezza, e che poi magari torni indietro sfruttando le cenge del Leva e del Ceria Merlone. Fotografo infine di nuovo il Montasio, le nuvole che prima attorniavano la cima ora se ne sono andate. Il Mangart e lo Jalovec invece resteranno dietro le nuvole ancora per un bel po', gli escursionisti che hanno scelto quelle mete oggi non sono stati altrettanto fortunati. Inizio a scendere anche io, dopo il tratto attrezzato prendo a destra la deviazione per la normale, raggiungo presti i tre escursionisti che supero ed in breve arrivo sul sentiero 616 che collega Sella Nabois al Pellarini. Scendo un po' per ghiaie, guadagno ancora qualche minuto. Poi seguo il sentiero ed arrivo al Pellarini che trovo piuttosto affollato, stamattina non c'era tutta questa gente. Molta gente è salita fin qui senza avere altre mete. D'altra parte si può anche capire, il rifugio in questione è secondo me uno dei più belli di tutto l'arco alpino. La vista sulla cima di Riofreddo, Alta Madre dei Camosci e Jof Fuart è spettacolare, la stessa vista che fece innamorare un certo Emilio Comici della montagna. Comici qui fece la storia dell'alpinismo, salendo per primo una via che superava il 5° grado e che aveva già fatto molte vittime illustri (vedi Spinotti) prima del suo tentativo. Non mi fermo per la birra nemmeno questa volta, mi accontento di bere un po' di acqua fresca alla sorgente poco sotto il rifugio. La discesa prosegue veloce, non vedo l'ora di arrivare nei pressi del parcheggio per togliermi gli scarponi e immergere i piedi nel torrente Saisera...

1700 metri di dislivello considerata la salita per sella Prasnig. 2h al Rifugio, 2h per la cima. 1h per la discesa al rifugio, 1 h per la discesa al parcheggio. Totale 6 ore soste escluse. Casco e set da ferrata facoltativi.

Visualizza tracciato gpx

La meta a destra; sulla sinistra il gruppo del Jof Fuart

Coralli di bosco...

Fioriture


Cima di Riofreddo, Alta Madre dei Camosci e Jof Fuart

Sella Nabois divide i due massicci

Cima Cacciatore e Lussari

la parete nord-est del Jof Fuart

Ultimo tratto attrezzato prima della vetta

Sconfinate bancate di roccia...

La piccola cima

Il Montasio con qualche nuvola

Bravo... Mi copri la torre nord!



Dettaglio della croce di vetta




Licheni

La cengia degli Dei

Verso Mangart-Jalovec


Di nuovo la cengia degli Dei