lunedì 22 dicembre 2014

Tre Cime di Lavaredo

Era il periodo pre-natalizio del 2014 quando, superando i nostri usuali confini regionali e sconfinando in Cadore, giungemmo con la nostra auto nei pressi di Misurina. Poco dopo l'omonimo lago lasciammo la strada principale per svoltare a destra imboccando la rotabile che porta al rifugio Auronzo, il rinomato rifugio che sorge proprio ai piedi delle Tre Cime in versante sud. La strada, libera da neve nel solo tratto iniziale che porta al più piccolo lago D'Antorno, ci permise di salire un po' riducendo il dislivello che ci attendeva. Niente calca, al parcheggio c'erano cinque o sei auto. Anche il casello era chiuso, non c'erano a gestirlo gli addetti che d'estate, a fronte di un modico si fa per dire pedaggio, permettono agli escursionisti e alpinisti di salire fino al rifugio con la propria auto. Avevo sentito parlare di un servizio navetta con gatto delle nevi preposto ad accompagnare i turisti fino al rifugio anche nella stagione fredda, tuttavia di questo servizio non ebbi evidenza. Probabilmente la stagione invernale ufficialmente non era ancora partita visto che la maggioranza dei turisti arriva solitamente dopo Natale. Fu per noi un'ottima notizia... la zona forse più visitata delle Dolomiti era praticamente deserta e a nostra disposizione. Un sogno! Parcheggiata l'auto, calzati scarponi e ghette partimmo lasciando nel bagagliaio le ciaspole giudicate superflue: 30 cm di neve dura e già battuta non ci spaventavano. Appena possibile deviammo dalla strada verso destra sul sentiero 119 che sale più direttamente verso il rifugio, anche questo già battuto. Non impiegammo molto tempo per giungere al rifugio Auronzo, forse qualcosa in più di un'ora. Al rifugio ci fermammo solo il tempo di scattare qualche foto e bere qualcosa. Altre persone stavano già lì, chi a prendere il sole chi a fare fotografie. La nostra meta non era ancora raggiunta, l'obiettivo era la forcella che ad est delle cime permette di passare dal versante sud al versante nord permettendo di ammirare il lato migliore e più rinomato delle Drei Zinnen. Ripartimmo in direzione est seguendo la mulattiera che in leggera salita porta alla Lavaredo Hutte. Le sagome delle cime, le forcelle e i canaloni innevati tra di esse attirano costantemente l'attenzione. Eravamo nell'Olimpo dell'alpinismo, nel luogo in cui furono scritte pagine indimenticabili di imprese tra follia e eroismo. In particolare nella mia mente passavano le pagine dei racconti di Emilio Comici, descritte con passione e precisione nel suo libro "Alpinismo Eroico". Guardavo in alto verso lo spigolo giallo della Piccola e me lo immaginavo lassù, quasi un secolo fa, mentre cercava la sua linea di salita ideale su pareti di roccia impressionanti. Attirò infine la mia attenzione il monumento dedicato a Paul Grohmann, alpinista che ancor prima di Kugy seppe dare un'impronta all'alpinismo come forse nessun altro ha mai fatto: primo salitore della Cima Grande, della Marmolada, Antelao, Sorapiss, Tofane... Pure il Coglians, la via sulla nord della Chianevate... Cose d'altri tempi. Raggiungemmo la Hutte e poco dopo, in 20 minuti su un pendio un po' ripido, la forcella. Come mettemmo il naso in versante nord un vento forte e gelido ci investì. Indossai il passamontagna immediatamente ma rimanere oltre la forcella era davvero un'impresa. Ci riuscimmo per una manciata di minuti in tutto, il tempo di riprenderci dall'inebriamento dovuto a quella incredibile nuova visuale e di scattare alcune foto.I castelli dei Tre Scarperi e della Rocca dei Baranci, il profilo slanciato della Croda dei Rondoi, più ad ovest svetta la Croda Rossa d'Ampezzo... Quanta bellezza! Oltre la forcella anche la neve, modellata dall'insistente vento e dal gelo, assumeva la consistenza di una lastra di ghiaccio sulla quale era difficile rimanere in piedi senza l'uso dei ramponi.
Tornammo infine al di qua, nel versante caldo della forcella baciati da un sole incredibilmente basso all'orizzonte come solo durante i solstizi invernali può accadere. Velocemente scenedemmo alla Lavaredo Hutte dove ricordo di aver parlato e scherzato con altri escursionisti che ci avevano seguito fino qui e che successivamente salirono anch'essi alla forcella. Consumammo il nostro frugale spuntino e ripartimmo per il rientro seguendo a ritroso il percorso effettuato.
Arrivammo all'auto stanchi, nemmeno troppo, ma profondamente soddisfatti di quanto questo luogo ci aveva saputo regalare.
550 metri di dislivello totale, 4 ore in tutto escluse le soste per quanto possa ricordare.


















sabato 1 novembre 2014

Cima Emilia

Quel soleggiato primo di novembre salimmo nel gruppo degli Spalti di Toro-Monfalconi, in quel superlativo anfiteatro roccioso che pare creato proprio per custodire e difendere la formazione rocciosa più bizzarra della regione, il Campanile di Val Montanaia. Con l'auto di Desy percorremmo la sterrata che porta al parcheggio di Pian Fontana, poco sotto il rifugio Pordenone. Seguendo il sentiero che costeggia il rio Val Montanaia giungemmo in poco meno di due ore al cospetto del Campanile. Notammo alcuni alpinisti si stavano attrezzando per iniziare la salita sullo slanciato monolite mentre molti escursionisti, davvero tanti per il periodo, stavano sostando nei pressi del bivacco Perugini. Ci unimmo a questi ultimi sedendoci un po' ad ammirare l'incredibile panorama che ci circondava... L'anfiteatro roccioso che racchiude il Campanile è chiuso ad est dalla Croda Cimoliana e dalla croda Montanaia, a nord dal Monfalcon di Montanaia e da Cima Both mentre ad ovest Cima Emilia e gli altri Spalti di Toro completano il semicerchio. Si potrebbe rimanere ore a guardarsi attorno, ogni volta si noterebbe qualcosa di nuovo: una guglia, una cengia, un canalino, una forcellina... Più di tutto quel giorno colpirono la mia attenzione le grandi cenge orizzontali che tagliano un po' l'intero gruppo a varie altezze.
Le cenge sono un po' come le rughe sui volti delle persone, sembrano raccontare con discrezione la loro millenaria storia. In questo fiabesco contesto mi fermai per una decina di minuti ma, non ancora pago della meta raggiunta, poco dopo decisi di partire alla volta della cima Emilia. Desy invece - e come biasimarla - preferì rimanere a godersi il caldo pomeriggio nei pressi del bivacco. Partii seguendo inizialmente il sentiero verso forcella Montanaia, la forcella che divide Cima Both dal Monfalcon di Montanaia. Un po' prima ghiaie terminale svoltai a sinistra imboccando una traccia di sentiero che traversando sotto il versante meridionale di cima Both mi permise di raggiungere la forcella che separa Cima Both da Cima Emilia (forcella del Campanile). Da lì  alcuni ometti mi portarono all'interno della castello sommitale. Cengette, canalini e una paretina friabile e non proprio banale  mi fecero guadagnare quota rapidamente. Ricordo anche che ad un certo punto intrapresi una piccola variante alla via normale aggirando, tramite una cengia leggermente esposta sul lato Campanile, uno sperone che si supera invece più agevolmente sul lato ovest. Cambiò poco, in breve mi trovai comunque sul versante ovest della montagna e improvvisamente apparirono davanti a me tutte le cime dolomitiche... Pelmo e Antelao, la piramide della Tofana di Rozes, Cristallo, Tre Cime e Tre Scarperi...  Che emozione! Che giornata splendidamente tersa, si poteva vedere addirittura il profilo dello spigolo giallo della Cima Piccola... Pochi passi e un paio di canalini ingombri di sassi mobili mi permisero di giungere sulla piccola cimetta, sufficiente ad accogliere al massimo 3-4 persone. Il Campanile che prima svettava sopra di me appariva da lassù piccolo e vulnerabile mentre le bancate rocciose tutt'attorno sembravano da qui ancora più imponenti. Rimasi in cima il tempo sufficiente per fare alcune foto, poi iniziai la discesa. Incontrai poco sotto la vetta un signore solitario che probabilmente mi aveva seguito a distanza e che era intento a fare delle foto ai colossi dolomitici ad occidente che avevano colpito anche la mia attenzione durante la salita. Scambiammo due parole e ripresi la discesa che seguì la via percorsa in salita fino ad un canalino poco più in basso della paretina friabile. Avevo letto che dal canalino si poteva scendere rapidamente vero il bivacco tramite ghiaie mobili, optai per questa soluzione che mi pareva più rapida. Scesi davvero veloce anche se il ghiaione non risultò mai davvero piacevole: inizialmente si svolgeva su ghiaie ripide e dure mentre in un secondo momento le ghiaie diventano troppo grosse e con massi instabili che richiedono attenzione e agilità. Feci pertanto un po' di rumore attirando l'attenzione degli escursionisti che ancora stavano attorno al Campanile; tuttavia in pochi minuti terminai la discesa arrivando sul bel prato su cui giace il bivacco Perugini. Mi ricongiunsi con Desy e consumammo assieme il nostro spuntino. Poi a malincuore dovemmo lasciare questo paradiso per tornare nel mondo "normale".

Salita 1h45' minuti al bivacco, per la cima i ricordi mi dicono circo un'ora e 30' salita e discesa. La paretina secondo me di I+ richiede particolare attenzione per via del ghiaino e della roccia non proprio solidissima. Rari ometti guidano la via.

Il Campanile

Pelmo e Antelao. Si intravede la piramide della Tofana di Rozes

Verso il Cridola

La paretee e le cenge della Croda Montanaia

Cima Both e Monfalcon di Montanaia



Le dolomiti, dal Cristallo ai Tre Scarperi passando per le Tre Cime


Forcella Cimoliana e il sentiero inizialmente seguito e abbandonato per tagliare verso sinistra




sabato 27 settembre 2014

Peralba e Pic Chiadenis

Fine settembre, io e la mia fidata compagna decidiamo di tentare nuovamente la salita al Peralba dal crestone ovest. Poche settimane prima eravamo stati respinti dal meteo incerto quando eravamo già a metà cresta e nella ritirata successiva avevamo preso giusto qualche goccia di pioggia oramai nei pressi del rifugio Sorgenti del Piave. Questa volta le previsioni sono ottime e soprattutto ottima è la visuale del cielo verso nord. Arriviamo alle sorgenti, ci incamminiamo verso l'attacco della cresta. Come la volta scorsa nel boschetto si fa un po' fatica a individuare la traccia corretta. Saliamo tra i mughi la prima parte agevolmente fino al punto in cui, raggiunta la quota più a ovest del tracciato, si inverte direzione e si inizia a salire sul costone del bestione. Questa prima parte è certamente la più esposta, si sale ripidi tra mughi e roccette ma pochi metri più in basso la parete ovest digrada verticalmente verso la val Visdende creando un senso di vuoto leggermente opprimente. Superato questo tratto iniziale la sensazione di muoversi sopra baratri un po' si allevia, tuttavia il percorso richiede attenzione dall'inizio alla fine. Troviamo il tempo di fare qualche foto, una in particolare su uno spuntone a guardarla fa rabbrividire più di quanto non sia necessario... Si sale tra ghiaie, roccette e resti di trinceramenti della Prima Guerra mondiale. Questi ultimi diventano sempre più frequenti mano a mano che ci avvicina alla vetta. In poco più di due ore siamo sulla panoramica vetta. Nei pressi della campana ci sono già diverse persone salite probabilmente dalla ferrata Sartor. Un padre col bimbo sta arrivando in vetta proprio dalla ferrata, mi meraviglio un po'... Poi penso che da ragazzino, avevo dai 10 ai 13 anni, un caro amico ormai scomparso mi portava spesso con lui in montagna e per ferrate... e quella volta non c'erano kit!  Un cordino e via, oppure in conserva! Cose da far rabbrividire a raccontarle... anche se quelle esperienze sono state per me fortemente formative. Ho imparato a quel tempo ad ascoltare i consigli dei più esperti, a pensare prima di muovermi, a conoscere i diversi tipi di terreno montano e i rudimenti della progressione. A proposito mi sovviene un aneddoto che ancora oggi ricordo spesso. Io e questo caro amico proseguivamo in conserva attraversando un ripido nevaio quando gli chiesi "Ma se dovessi scivolare tu mi terresti?" La risposta "certo, io ho ramponi e picozza per questo." (io non avevo nè l'uno nè l'altro). "E se scivoli tu?" Risposta "Beh... in quel caso.... siamo fregati!". Da quel momento ero più preoccupato per lui che non per me, come comprensibile "Non cadere, non cadere eh...". Torniamo alla cima del Peralba, oggi dalla cima il panorama è davvero sconfinato. Foto di rito, pranzetto frugale e giù per la via normale verso Passo Sesis dove guardo il Pic... Sto bene e non ci sono mai salito,decido quindi di lasciare Desy ad attendermi sui prati e parto all'attacco della via normale che inizia da ovest proprio dai pressi del Passo Sesis. Si attraversa una verde crestina con resti di guerra e si è alla base delle rocce dove sale con difficoltà attorno al I+ in circa 20 minuti. I bolli sono pochi e sbiaditi per cui bisogna fare attenzione al percorso che è inoltre piuttosto esposto ma mai difficile. Arrivo in cima, qualche scatto e ridiscendo dal mio tesoro che mi aspetta mentre segue a vista i miei movimenti. Ricongiunta la coppia scendiamo al rifugio Calvi, come al solito molto affollato. Scendiamo decidendo di bere la birra alle Sorgenti. Per strada si incontrano molte persone intente a cercare di fotografare marmotte.. Tanto che un signore si indispettisce quando scendendo ne faccio scappare una. Capisco la marmotta... che poi altro non è che un grosso topo fischiante, però i sentieri sono fatti per far passare la gente, se uno vuole tentare di fotografare la marmotta basta che si sposti di una ventina di metri dal sentiero e il problema è risolto! Comunque proseguiamo, al rifugio c'è un sacco di gente ma troviamo posto per sederci fuori dove ci gustiamo la meritata birra con vista sul Lastroni.

Dislivello1000 metri compreso il Pic, salita 2:30 discesa 1:30 - Pic salita + discesa 1h
























domenica 17 agosto 2014

Mangart

Il Mangart è la quarta vetta in ordine di altezza delle Alpi Giulie, dietro a Triglav, Montasio e Scarlatizza. E' collegato a sud da una sottile cresta al Gialuz (o Jalovec) alto solo una ventina di metri ma dalla sagoma più slanciata. Il Mangart visto da ovest appare come un grande cupolone che molto poco ha da invidiare ad altri "cupoloni" più rinomati. Per salirlo decidiamo di percorrere le due ferrate italiana e slovena e la via normale compiendo così un giro completo della cima. Punto di partenza è il rifugio sloveno che permette di risparmiare almeno 800 metri di dislivello. Sono le 8 del mattino quando sconfiniamo al valico di Cave del Predil e imbocchiamo la rotatoria che sale al rifugio. Notiamo che al casellino del pedaggio non c'è nessuno ma ci sono dei cartelli che avvisano che la strada non sarà percorribile dalle 10 alle 14 per lo svolgimento di una corsa ciclistica. Ottimo, niente pedaggio e orario perfetto per chi sale in cima visto che molto difficilmente saremo all'auto prima delle 14. Parcheggiamo e partiamo dal bell'alpeggio del Koča na Mangrtu, scendiamo in versante laghi verso il bivacco Nogara. Poco prima del bivacco si svolta a destra verso la parete del Mangart dove si trova senza difficoltà l'attacco della ferrata italiana. Questa ardita ferrata è stata allestita dagli alpini negli anni '50 per creare una via diretta alla cima senza sconfinare in territorio jugoslavo. Si sale da subito in verticale ma la progressione non è mai faticosa. Si passa un caratteristico tunnel dal quale si sbuca in piena parete. Si prosegue con qualche traverso esposto e in meno di un'ora siamo all'uscita dove incrociamo la via normale e dall'altro lato, del canale ghiaioso, vediamo i numerosi escursionisti alla prese con la più facile ferrata slovena. Questa è sì più facile, non si rende nemmeno necessario secondo me l'uso del kit da ferrata, però svolgendosi su un canalone è molto soggetta al rischio di caduta sassi smossi da altri escursionisti. Qualcuno sale con imbrago e in cordino statico con moschettone e mi chiedo se non sia davvero meglio salire senza niente piuttosto che con questi sistemi dalla dubbia efficacia in caso di caduta (stress e rottura del moschettone, capovolgimento del soggetto, fattore di caduta elevato al quale conseguirebbero sicuramente problemi alla spina vertebrale etc). Ci accodiamo e seguiamo la folla in questo tratto che per i motivi sopra citati si è rivelato poco piacevole. Arriviamo sul versante ovest su un bel balcone dove la ferrata slovena può dirsi terminata e il sentiero cambia direzione puntando da qui verso est diretto in cima. Ci fermiamo un attimo ad ammirare il paesaggio assieme a molta altra gente. Altri 30 minuti al massimo e si arriva per facili roccette in cima, una cima che per la facilità di accesso e per il panorama che offre è sempre affollata come una spiaggia della riviera romagnola. Questo contrasta un po' con il mio modo di intendere la montagna, certamente non si può non comprendere chi sale qui perché fisicamente non può affrontare salite più impegnative. Sono sempre circa 600 metri di dislivello percorrendo la via normale o la ferrata slovena per cui non è proprio un gioco. In vetta facciamo alcune foto, attira la mia vista in particolar modo lo Jalovec che sembra non temere il confronto col il più possente e (leggermente) più alto Mangart ma ancora più bella è la vista del mare... Solo il Canin offre un panorama sul mare migliore di questo (limitatamente alle alpi Giulie italiane). Scendiamo dalla via normale, anche qui incontriamo molta gente che sta ancora salendo mentre è già l'una e le prime nubi si stanno addensando sulle montagne vicine. Arriviamo al rifugio dove scattiamo ancora qualche foto e poi giù in auto verso Sella Nevea. Al casello ora ci sono due ragazzi che fermano le auto in salita per il pedaggio... noi passiamo indifferenti e tiriamo dritti dritti verso l'Italia dove comunque in alcune località in fatto di pedaggi per strade e parcheggi non siamo secondi a nessuno (vedasi rifugio Auronzo). Ci fermiamo a bere una birra a Sella Nevea, mentre sul Mangart oramai n grosso nuvolone ha avvolto la cima completamente.

Dislivello 900 metri, tempo di salita 2h30', discesa 1h15'