domenica 30 agosto 2015

Cima Cacciatore.. in alta stagione.

Fine agosto, io e Desy stiamo pensando di portare in montagna i nostri genitori per provare a condividere con loro parte della nostra passione. Purtroppo loro non sono molto inclini a camminate sfiancanti su ripidi sentieri pertanto decidiamo di salire ad una meta comoda con seggiovia. Quale idea migliore del Lussari... Poi da lì io e Desy abbiamo la possibilità di salire alla Cima Cacciatore, già visitata qualche anno prima partendo dalla val Saisera e passando per Sella Prasnig, mentre gli altri si possono  passeggiare per il paese e mangiare qualcosa su un balcone affacciato al miglior panorama che le Giulie friulane possano offrire. Dico subito che il periodo, agosto, secondo me non si presta molto a visitare questa cima che offre invece il meglio di sé in autunno quando l'atmosfera è molto più tersa e non è difficile trovarsi da soli in cima. Quindi al mattino siamo alla partenza della cabinovia, facciamo il biglietto e saliamo al paesello in quota più famoso della regione. Già in seggiovia capiamo che non siamo stati gli unici ad aver avuto questa idea oggi, la giornata è bella e ci sono centinaia di persone che stanno salendo assieme a noi. Arrivati al paese facciamo due passi per caratteristiche stradine tutti assieme e infine decidiamo di separarci: io e Desy saliremo sulla cima Cacciatore con un anello che ci permetterà di girare tutto attorno all'isolata cima. Scenderemo infatti lungo la forestale che scende in val Saisera fino a prendere il sentiero 617 che attraverserà le pendici occidentali del monte portandoci nei pressi di Sella Prasnig, senza però raggiungerla. Poco prima infatti incontreremo il conosciuto 613 che correndo in direzione nord prima su bei prati e infine su ripidi tornanti con infido ghiaino, ci porterà sul cocuzzolo terminale. Per strada incontriamo diverse persone che hanno optato per questo giro, alcuni sono un po' in difficoltà sull'ultimo tratto che richiede piede fermo su terreno instabile. Niente di preoccupante per chi è un po' abituato, qualche normale preoccupazione per gli escursionisti occasionali. Arriviamo in cima dove c'è davvero la folla... Più affollata di questa cima ho visto solo l'Amariana dell'otto dicembre di qualche anno fa e forse il Mangart. Il panorama non è male ma il ricordo dello stesso del novembre di qualche anno prima mi dice chiaramente che da qui si può avere di meglio. Facciamo un po' di foto e mangiamo qualcosa. Sul canalino attrezzato di accesso rapido dell'altro versante c'è un viavai di gente senza sosta. Molti salgono con bambini piccoli e il rischio di caduta sassi è tutt'altro che trascurabile. Per la discesa infatti optiamo per il proseguo in cresta verso est. Così facendo infatti si raggiunge prima la cima est, distante quindi metri in linea d'aria ma completamente deserta, poi si digrada lentamente per cresta con qualche passaggio di primo superiore fino ad arrivare su un'ultima cimetta dove si trova un piccolo ometto con una croce con dedica a "Gigliola" da parte dei suoi cari. Da qui scendendo per una visibile traccia tra le ghiaie ci si ricongiunge al sentiero principale appena sotto l'affollato canalino la cui percorrenza è quindi evitabile, qualora risultasse impraticabile o malsicuro. Scendiamo ma prima di rientrare in paese facciamo una doverosa deviazione alla malga Lussari, dove beviamo una buona birra fresca e mangiamo qualcosa. Infine torniamo in paese, il giro ci ha impegnato un bel po' e il resto della compagnia è già rientrato con la seggiovia dove ci aspettano al bar a fianco dell'impianto.

Dislivello approssimativo 600m, tempo di salita 2h-2h30', discesa 45' fino al Lussari passando per la variante, 1h15' in più per scendere per il Pellegrino dalla malga.

Da qui la vista sul Jof Fuart è probabilmente la migliore in assoluto





Nei pressi della vetta

La cima est sulla quale siamo passati per cresta

Il Lussari dalla cima

La cima da un intaglio lungo la cresta

Mangart e Jalovec offrono il miglior panorama

La croce con dedica sull'ultima cima lungo la cresta est


sabato 22 agosto 2015

Monte Volaia

Il Volaia è un gruppo montuoso situato subito ad ovest dell'omonimo lago e del gruppo del Coglians. La catena forma un anfiteatro di cime tutte tra i 2400 e i 2550 metri. Da est verso ovest le più importanti ed in ordine di altezza sono il Capolago, il monte Canale, il Sasso Nero e infine a chiudere la mezzaluna a nord ovest c'è la cima classica, detta appunto Monte di Volaia, che è anche la più bassa delle quattro con i suo 2470 metri. Partiamo piuttosto tardi, sappiamo che le previsioni per la giornata sono ottime ma la zona è sempre un po' particolare e tende ad annuvolarsi il primo pomeriggio, soprattutto sul gruppo Coglians-Chianevate. Partiamo dal bar Edelweiss poco oltre Collina dove iniziamo a risalire il sentiero CAI 176. Questo sentiero è particolarmente piacevole e nonostante il dislivello sale regolare senza risultare mai eccessivo nella pendenza. Ad un certo punto raggiunta la casera Chianaletta il tracciato inverte la rotta verso nord fin qui mantenuta per disegnare un'ampia ansa effettuando prima una stretta curva verso sinistra e successivamente un'altra stretta curva verso destra. Al termine proseguiamo di nuovo verso nord dove, un po' prima di arrivare nei pressi di forcella Ombladet, prendiamo il sentiero che si stacca a destra e rimonta l'ultimo tratto di prato portandoci fino alla Tacca del Sassonero dove il terreno si fa definitivamente roccioso e le testimonianze della grande guerra sono davvero numerose. Ricorre quest'anno infatti il centenario dell'inizio di quella guerra ed è doveroso ricordare come i nostri nonni e bisnonni abbiano combattuto e sofferto in questi luoghi così belli ma così poco adatti ad essere presidiati dall'uomo. Dalla tacca il sentiero si fa un po' più ardito, si prosegue in direzione nord poco sotto la cresta fino a portarsi sotto le roccette terminali della cima. Infine, risalendo per roccette  si risale con attenzione un canalino sbucando direttamente in vetta dove il panorama si apre vastissimo anche sulla conca del bellissimo lago, dove il verde dei prati del Rauchofel contrasta il bianco delle rocce della cima Lastrons del Lago e del Coglians. Un po' di nuvole rovinano un po' il panorama e il vento freddo ci fa capire che non ci fermeremo in vetta più di 15-20 minuti. In vetta ci sono altri due escursionisti che stanno facendo fotografie. Ci cambiamo la maglietta, facciamo anche noi alcune foto e mangiamo qualcosa per integrare un po' le energie perse. Scendendo faccio qualche piccola deviazione sull'antecima dove scatto ancora un paio di foto. Poco più sotto incontriamo due dei quattro escursionisti superati poco dopo la casera Chianaletta. Sono un signore e una signora, lui ha i crampi ma dice che ci tiene troppo a salire in cima. Li incoraggiamo, sono sul canalino finale e la vetta è a una manciata di minuti. Ci dicono che le altre due signore non se la sono sentita di proseguire in cresta e li stanno aspettando alla tacca del Sassonero. Li salutiamo, proseguiamo e incontriamo le altre due signore poco oltre la tacca. Il primo saltino in cresta le aveva fatte desistere dal continuare, è un peccato ma è giusto che ognuno valuti i propri limiti e capisca se è pronto o meno per fare un certo passaggio. Magari le signore torneranno qui fra un po' e troveranno quel passaggio meno ostico di quanto non gli sia sembrato oggi. Continuiamo la discesa, il programma è di scendere questa volta fino a forcella Ombladet per poi discendere il sentiero 141 che passa per i ruderi di casera Chiampei. Questo sentiero è molto meno divertente e rilassante del sentiero percorso in salita. In un tratto la pendenza è davvero forte e si svolge su rocce umide che possono risultare scivolose. Nei pressi della casera inoltre la traccia scompare anche se, con un minimo di attenzione, il sentiero si ritrova poco dopo tenendo presente che qui inverte la direzione scendendo in falsopiano in direzione nord-ovest. Eseguendo una nuova stretta curva, riprende a scendere in direzione sud tenendosi circa duecento metri sopra il rio Collinetta. Arriviamo a Collina dove c'è ancora un bel sole, risaliamo a piedi la strada per circa 500 metri fino ad arrivare al parcheggio nei pressi del bar Edelweiss.

Dislivello 1200 metri, tempi 2h30 per la salita, discesa 1h30


Nubi sul Peralba

Vista su Rauchofel, lago e Lastrons del Lago. Coglians tra le nuvole




Vista dalla tacca del Sassonero

Il sole va e viene sul lago di Volaia




L'antecima

La cima dall'antecima





venerdì 7 agosto 2015

Creton di Culzei

La ferrata dei 50 è secondo me una delle più belle e spettacolari in regione e probabilmente la più impegnativa dal punto di vista fisico, non tanto per tratti particolarmente tecnici quanto per la lunghezza e la varietà dei passaggi. Si snoda infatti tra canaloni e creste, spigoli e forcelle con diversi saliscendi che aumentano la fatica. La ferrata inizia poco ad est del rifugio De Gasperi, raggiungibile in poco più di un'ora dal centro sci di fondo Piani di Casa in val Pesarina, e percorre un anello in senso antiorario con rientro al De Gasperi dalla Forca dell'Alpino. Secondo me il senso antiorario è quello migliore per affrontare in salita la parte più tecnica. La discesa invece è la parte più delicata dell'escursione  poiché avviene per franosi canalini che nel caso di affollamento diventerebbero delle pericolosissime trappole per il rischio di caduta sassi.
Sono i primi giorni di agosto 2015 e fa un caldo terribile sia in pianura che in quota. Decido di percorrere questo itinerario in solitaria anche per festeggiare il recente compimento dei 40 anni e perché, come spesso accade in questo  genere di imprese, preferisco non coinvolgere la mia compagna anche perché non avendo mai percorso l'itinerario non ho un'idea chiara delle difficoltà che si incontreranno. Arrivo al centro sci di fondo, sono le 8:20 quando parto. Mi sento molto bene, arrivo al De Gasperi in un'ora per un piacevole sentiero che presenta dei punti franosi ma mai pericolosi. Al rifugio ci sono diverse persone che probabilmente hanno dormito lì e che sono in procinto di partire, mi chiedo se avranno in programma anche loro la ferrata. Riparto dopo pochi minuti. Una relazione online diceva che per raggiungere l'attacco dal rifugio sono necessari circa 40 minuti. Questo sarà il principale problema di questa bella giornata... In pratica percorrendo il primo tratto del Corbellini - che nella sua prima parte è molto bello e caratteristico - supero il punto dell'attacco (che avevo raggiunto in 20 minuti) e proseguo lungo il sentiero per quasi un'altra mezz'ora, risalendo un costone verde con erba alta che del quale nelle relazioni non c'era traccia. Ad un certo punto in un prato mi fermo ed estraggo il GPS per capire dove sono. Lo posiziono sullo zaino e un minuto dopo scopro di aver superato e non di poco il punto dell'attacco. Chiudo lo zaino e torno indietro, cammino per circa 20 minuti finché individuo il canalino dal quale si stacca il sentiero che porta all'attacco. Metto via il gps nello zaino e mi accorgo che nella tasca superiore dello zaino non c'è più il cellulare! "Noooo.. mi è sicuramente caduto nel prato quando ho estratto il gps...". Che fare, tornare indietro a cercare il telefono o darlo per perso.Sono altri 45 minuti tra andata e ritorno. Decido di andare a cercare il telefono. Riparto per questo sentiero e arrivo nel punto in cui mi ero fermato, cerco il telefono ma non c'è... L'erba è alta ma si dovrebbe vedere. A quel punto do il telefono per perso e torno indietro verso l'attacco. Ho perso, nei due sforamenti dal percorso, circa un'ora e mezza e soprattutto molte energie perché in questi tratti ho tenuto un andamento molto sostenuto. Con me avevo portato 2 litri di acqua e sali. La bottiglietta da mezzo litro è già volata da un po', ho bevuto già quasi mezzo litro dell'altra bottiglia e mi resta poco più di un litro per completare l'anello. Cosa fare, partire e iniziare la ferrata? sono quasi le 11 di mattina è già piuttosto tardi. Mentre penso apro la tasca frontale dello zaino e... ci trovo il telefonino!! Non lo metto mai in quella tasca! Vabbeh, contento per il telefono, un po' meno per la sbadataggine e soprattutto per il tempo perso. Decido di proseguire comunque per la ferrata. Il primo tratto è abbastanza semplice e sale lungo un lungo canale che ci porta fino all'inizio della cresta. Qui ho i primi problemi a proseguire, sono stanco, mi devo fermare ogni 3 minuti per riprendermi.Vedo il proseguo del sentiero che mi aspetta in cresta, noto dei cavi che collegano degli aguzzi speroni. Ho tanta sete ma devo risparmiare l'acqua per il resto dell'itinerario che da qui è ancora molto lungo, mi accontento di bere a piccoli sorsi. Supero la prima parte di cresta, i sali-scendi non aiutano certo a risparmiare energie. Penso che potrei decidere di scendere in caso di emergenza per la ferrata Simone che parte verso nord dalla cima di Rio Bianco a pochi minuti da dove mi trovo. Poi dovrei chiamare a casa qualcuno che venga a recuperarmi sul versante sappadino e che mi riporti a prendere l'auto in val pesarina, che figuraccia però... Raggiungo il bivio con la ferrata Simone, trovo anche una roccia in versante nord che trasuda un po' di acqua. Mi ci appoggio con la schiena, col torace e con la faccia per rinfrescarmi un po'. Non posso bere queste rare gocce.. però danno molto sollievo. Decido per continuare l'itinerario e scartare il piano di emergenza. Tra l'altro vedo due escursionisti salita da Sappada per questo itinerario che stanno consumando i loro viveri a 15 minuti circa da me. Li guardo, loro vedono me, ci salutiamo. Da qui alla cima stimo in circa un'ora la percorrenza. Dalla cima alla forca dell'alpino sono circa altri 30 minuti, poi dalla forca al rifugio altri 30 minuti... andando di buon ritmo almeno in discesa. In due ore dovrei essere al rifugio. Proseguo in cresta, ogni saliscendi genera nuove sofferenze ma arrivo in cima. Non riesco a gioire più di tanto. Ho conservato meno di mezzo litro d'acqua, qualche sorso che dovrà bastarmi per il rientro. Scatto qualche foto, la visuale non è delle migliori complice il caldo e l'umidità dell'aria.Bella la vista sulla cima maggiore del gruppo, il Clap Grande, che si staglia a ovest e del quale si nota la bella croce di vetta. Il rientro avviene per canalini franosi molto delicati e calate in mezzo a intagli di roccia. In uno di questi intagli un grosso masso è rimasto incastrato sopra il passaggio e passarci sotto fa un certo effetto. Fortunatamente, a parte quei due escursionisti sulla Simone non c'è anima viva in tutto il gruppo del Clap, oltre a me ovviamente, e questo limita il rischio di vedersi arrivare saassi dall'alto. Scendo con attenzione alla forca, dalla forca giù per il sentiero CAI pericolante e che a mio avviso andrebbe chiuso se non lo si riesce a mettere più in sicurezza. Una variante della ferrata permetterebbe di evitare il canalone, ma la variante prevede anche una breve risalita verso le pareti del Clap Grande su una ferratina piuttosto atletica per le mie condizioni fisiche attuali... La variante è bocciata. Ad ogni modo esco finalmente dal canale e mi ritrovo in terreno aperto e più sicuro a scendere verso il rifugio che sento ormai vicino. Faccio prima in tempo a scorgere dall'altro lato del valloncello, a 50 metri da me, un signore con suo figlio adolescente che tentano di salire alla forca. Mi chiedono dove possono passare per ricongiungersi con me... Guardo poco più in basso e scorgo l'attraversamento che avrebbero dovuto compiere per portarsi sul mio versante. Gli spiego che devono scendere un po' e che ci saremmo incontrati una trentina di metri più in basso. Vedo che il loro incedere non è molto sicuro, il ragazzo è anche senza zaino e il signore ne ha uno piuttosto vuoto... Mi dicono che vorrebbero arrivare alla forca dell'Alpino per vedere il versante Sappadino. Gli spiego che il sentiero è malagevole e molto molto pericoloso, che fa un caldo pazzesco e che sono passate le 2 del pomeriggio... E che se fossi in loro lascerei perdere l'idea. Mi danno retta e tornano indietro verso il rifugio. Io li precedo, inizio a vedere il rifugio e sto bramando una birra... Arrivo al rifugio in 10 minuti e non chiedo la birra come pensavo poco prima, finirei per berla tutta d'un fiato e probabilmente mi ubriacherei in questi stati. Quando si ha sete, ma sete veramente, si desidera solo acqua. Il rifugio ha una sorgente d'acqua scarsissima, la zona qui è veramente desertica. Riesco a bagnarmi la fronte e la nuca, i polsi e la cosa mi da subito sollievo. Ordino, con una voce che quasi stenta ad uscirmi tanto è secca la gola, una bottiglia da un litro di acqua naturale al bar. La finirò in meno di 2 minuti sotto gli occhi della barista che mi deve aver preso per un morto di sete... E  ragione! Torno letteralmente a vivere, sto di nuovo bene ma non me la sono mai vista così brutta per mancanza d'acqua. E' la cosa peggiore che possa capitare. Mi ricordo a questo punto quando andavo in montagna da ragazzino non ancora adolescente col mio amico Pilu... Lui nello zaino aveva di tutto, io spesso portavo solo la borraccia dell'acqua. Un giorno gli dissi che volevo aiutarlo a portare un po' di cose, vestiario e attrezzatura, che forse avrei dovuto portare uno zaino anche io. Lui mi rispose che non era necessario mi disse queste parole "Tu porti la già la cosa più importante per noi, l'acqua. Il mio zaino può anche cadere giù e andare perso, ma se tu dovessi perdessi l'acqua saremmo nei guai veramente". Bene, queste parole mi sono tornate alla mente durante questa esperienza, è davvero molto bello avere ricordi così vivi dopo tanti anni. Dal rifugio riparto ricaricato, nello scendere dal sentiero supero una coppia di simpatici signori coi quali scambio due parole. "Lasciamo passare il ragazzo che ha gambe buone lui! Dove sei stato?" chiede il signore. Gli rispondo che ho fatto il giro completo della ferrata dei 50 e mi guarda con ammirazione dicendomi "Da solo... E sei già che scendi, sono le 15:45 sei stato bravo e veloce!". "Sì certo.." replico io... " Ma ho praticamente dato fondo a tutte le energie che avevo oggi!" Ci salutiamo e scendo, in pochi minuti sarò alla macchina. Per l'intero giro ci ho messo qualcosa come 7h30', considerato che ho perso circa un'ora e mezza all'attacco ho impiegato circa 6 ore per il giro completo quando le tabelle ne danno approssimativamente 9 ore la percorrenza. Apro una parentesi sulla velocità in montagna. Non credo che la montagna vada vissuta come una gara contro il tempo. Spesso, specialmente in compagnia, la montagna è bella se vissuta con la dovuta calma. Però la velocità è un'arma in più, è un vantaggio che in certi casi diventa importatissimo anche per la sicurezza. Percorrere tratti a rischio caduta sassi velocemente o poter contare su una discesa in 30 minuti piuttosto che in una in 1 ora e mezza in caso di maltempo può fare la differenza. E' un po' come per le macchine, un'automobile potente, se guidata con intelligenza, è sicuramente più sicura di una macchina poco potente. E' il "se guidata con intelligenza" che fa la sottile differenza.

Dislivello 1400m, tempo di salita 4-5h, discesa 2h30'-3h