domenica 16 ottobre 2016

Monte Tuglia, una cresta al limite

Qualche sera fa avevo letto la relazioni sulla guida del Gaberscik che recita testualmente "La salita alla cima principale del monte Tuglia è riservata a escursionisti un po' pratici di alpinismo"... "Una paretina di I+...", "una cresta sottile e friabile...". Chiedo con un messaggio ad un amico che c'era salito poco tempo fa cosa ne pensasse della cresta finale, come gli era sembrata. La risposta chiara e inequivocabile è "non mi è nemmeno passato per la testa di salire in cima". Infine capito nel blog del mitico "Il Ravanatore", forse il più grande blogger di storie di montagne, storie genuine e avventurose anche se spesso al di sopra dei miei limiti e di quello che reputo per me fattibile. Egli racconta che secondo lui il proseguo verso la cima principale è piuttosto ardito e che prima di decidersi a partire si era fumato una sigaretta pensando sul da farsi. Benone, se ci ha pensato lui allora sono a posto! Alla fine tra me e me mi dico ciò che dico sempre: "Andiamo e vediamo, poi si valuterà sul posto. Mal che vada si rinuncia."
Il giorno dopo si parte, in compagnia arrivo fino alla casera Tuglia dove mi separo da Desy per proseguire verso la vetta. Mi prendo 40 minuti per la salita e 40 per la discesa "Tra un'ora e 20, massimo una e mezza sono di ritorno". "Ok, non fare cose pericolose mi raccomando". "Tranquilla!". In realtà so bene che la salita merita molta attenzione ma cerco di non allarmare troppo la compagna. La giornata è discreta, la casera è parzialmente all'ombra delle tante nuvole che ricoprono le cime di tutte le Pesarine, dal Pleros alla Creta Forata. Poco dietro la casera e sulla cima del Tuglia invece splende un bel sole, di quelli che riscaldano bene l'escursionista. Attraverso il terreno acquitrinoso poco sotto le pendici e inizio a salire diretto verso le prime rocce della mia cima, così come suggerito sulle relazioni. Da lì il sentiero si impenna, per ripidi verdi quasi sempre esposti sale velocemente fin sotto alla cima dove, entrando in mezzo ai mughi, la sensazione di esposizione si attenua. Ancora 5 minuti e sono sull'antecima, un palo e una semplice croce in legno segnalano l'arrivo poco sopra 1930 metri che è anche la quota riportata sulle cartine. Guardo la cima principale, una quindicina di metri più alta. Pare davvero ardito il percorso per giungervi. Cambio la maglietta, la stendo ad asciugare al sole. Lascio i bastoncini e riparto con l'intenzione di calarmi all'intaglio tra le due cime e valutare la paretina. Aiutato dai mughi scendo e mi porto ad un esposto intaglio sotto la cresta. Ci sono effettivamente 4 metri di parete da salire per raggiungere la cresta. La risalgo, alcuni appigli vanno valutati ma nel complesso la roccia non è malaccio. Sopra la paretina mi ritrovo davanti una cresta poco inclinata, larga circa 25-40 centimetri, espostissima sulla sinistra ed esposta sulla destra. Proseguo a quattro zampe, ho letto di tecniche "a cavalcioni" per questo tipo di creste e in questo momento ci trovo finalmente un significato. Pesavo che la cresta ovest del Montasio, quella che porta alla Findenegg, che "la lama" della Terza Piccola o che addirittura la Cengia di Ball fossero state prove di resistenza all'esposizione sufficienti. Mi sbagliavo, qui si va oltre. Arrivo in cima, non trovo una croce, un libro di vetta, un ometto. Niente. Penso che potrei costruirne uno, forse non sarebbe una brutta idea. Poi ci ripenso e mi dico che la cima è meglio così: uno deve arrivare qui e non trovarci niente, è proprio giusto così. La vista della cima secondaria sotto di noi è tutto il premio che uno si merita di ricevere arrivando qui. Anonima, severa e isolata è quanto riassume questa cima. Ci rimango 4 minuti, un paio di scatti e decido di tornare indietro. Ora il traguardo vero è riportare le chiappe dall'altra parte ripercorrendo quella cresta all'indietro. L'impegno richiesto infatti sarà ancora superiore. Scendo ancora a carponi, mi giro faccia a monte quando la pendenza in discesa aumenta e mi porto sopra la paretina esposta. Scendo con attenzione e calma la paretina che sebbene sia classificata di I+ può ben dirsi per l'impegno che richiede, per l'esposizione e per la non totale affidabilità degli appigli, un II grado pieno. Al forcellino mi riporto sotto i mughi, risalgo sull'altra cima e mi sento improvvisamente più leggero. Non che il resto della discesa sia banale, richiederà molta attenzione fino al termine del pendio. Però la parte peggiore è fatta. Ultimo autoscatto e giù, in 20 minuti sono alla casera dove posso riabbracciare Desy che poverina mi ha atteso per quasi un'ora e mezza. Subito lei mi chiede "Allora come era? sei salito fino in cima?" "Sì, era effettivamente adrenalinico e forse anche oltre il limite del buonsenso. Però non ho saputo resistere...".  Un'occhiataccia come il solito ad ammonirmi ma oramai mi conosce. Torniamo giù verso i Piani di Vas, in circa un'ora e venti minuti siamo all'auto. Poi giù in auto verso Rigolato, abbiamo promesso a degli amici che saremmo passati a salutarli e siamo di parola... anche perché sappiamo che una birra ce la troviamo di sicuro!

Dislivello 700 metri, 1h30 alla Casera, 40 minuti all'antecima, 10 minuti per la cima principale. 25 minuti il rientro alla casera e 1h15 per tornare ai Piani di Vas.

Traccia viewranger



















Nessun commento:

Posta un commento